P. Alberto Maggi OSM
Gesù ha parlato di libertà dal giogo della Legge, e i discepoli si comportano di conseguenza, ignorando il comandamento del sabato, ritenuto il più importante. L’ osservanza di questo unico comandamento garantiva infatti l’ubbidienza al volere di Dio, ma per la sua trasgressione era prevista la pena di morte (Es 31,14-15) in quanto la violazione del sabato equivaleva alla disubbidienza a tutta la Legge. In giorno di sabato era proibito effettuare qualsiasi tipo di lavoro. La casistica farisaica distingueva trentanove lavori principali, desunti dai trentanove lavori che erano stati necessari per la costruzione del Tempio: – Seminare, arare, mietere, legare i covoni, trebbiare, vagliare, scegliere, macinare, ventilare, impastare, cuocere; – tosare la lana, imbiancarla, cardarla, tingerla, tessere, ordire, fare due fili, intrecciare due fili, separare due fili di una corda, annodare, sciogliere, cucire due punti, strappare il filo per cucire due punti; 1 cacciare, uccidere, scuoiare, salare, conciare, raschiare, tagliare. – scrivere due lettere dell’alfabeto, cancellare. – costruire, demolire; – accendere un fuoco, spegnerlo; – Battere con il martello; – Portare un oggetto da un posto in un altro (Sab. M. 7,2). Ognuna di queste azioni era a loro volta suddivisa in trentanove lavori secondari per un totale di millecinquecentoventuno lavori proibiti. Il sabato era inoltre proibito percorrere più di ottocentottanta metri. É questo il primo sabato che incontriamo nel vangelo di Matteo. Si credeva che se tutto Israele avesse osservato, secondo le prescrizioni della Legge, due sabati consecutivi, sarebbe iniziato subito il regno di Dio. Mt 12,9 Allontanatosi di là, andò nella loro sinagoga. I farisei avevano rimproverato i discepoli di Gesù per la trasgressione del sabato (Mt 12,2). Gesù non si limita a difendere i suoi seguaci e ammonire i farisei, ma li va ad affrontare sul loro terreno. Per questo va nella loro sinagoga, il luogo dove i farisei imponevano la loro spiritualità al popolo. Il termine loro sinagoga è un’espressione costante con la quale Matteo prende le distanze dall’istituzione sinagogale giudaica (Mt 4,23; 9,35; 13,54). L’ultima volta che era apparsa la sinagoga era stato per indicarla quale luogo di condanna per i discepoli di Gesù (Mt 10,17). 10 Ed ecco, un uomo con una mano inaridita [xhr£n]. E chiesero a Gesù «E permesso curare di sabato?», al fine di accusarlo. Con una descrizione ad effetto (ed ecco) l’evangelista introduce l’unico personaggio presente nella sinagoga: un invalido. Un uomo con un simile impedimento non può lavorare e quindi vivere dignitosamente. Per di più, secondo la mentalità corrente, l’invalido era tale perché castigato da Dio, come insegna il Talmud: “(Chi vede) un mutilato, un cieco, uno la cui testa è colpita dalla lebbra, uno zoppo, uno che è affetto da un’infiammazione e gli albini: dica “Benedetto il giudice veritiero” (Ber. 58b). 2 Matteo, attraverso questo personaggio, intende denunciare i nefasti effetti della dottrina farisaica sul popolo: lo rende invalido, senza più speranza. Nella situazione dell’uomo l’evangelista illustra, infatti, quella di tutto il popolo: inaridito, senza più speranza e vita. Per rendere evidente l’identità tra il popolo e l’invalido, Matteo usa per l’infermità di quest’ultimo il verbo xera…nw inaridire, lo stesso che si trova nel Libro del profeta Ezechiele nella visione della pianura piena di ossa: “Vidi che erano in grandissima quantità sulla distesa della valle e tutte inaridite [xhr£]… queste ossa sono tutta la gente d’Israele. Ecco, essi vanno dicendo: Le nostre ossa sono inaridi [xhr£], la nostra speranza è svanita” (Ez 37,2.11). La domanda posta dai presenti (che al v. 14 saranno esplicitamente identificati nei farisei) a Gesù, non è diretta ad apprendere ma a giudicare e condannare. Essi sanno che in giorno di sabato la Legge proibisce di compiere qualunque attività (Es 20,8; Ger 17,21-27) e che il Talmud vieta non solo di curare un malato, ma anche di visitarlo: “In sabato non si può raddrizzare una frattura. Colui che si è slogato una mano o un piede non può tenerlo in acqua fredda” (Sab. 22,6). Per i pii farisei, la sofferenza dell’uomo è irrilevante di fronte all’ossequio della Legge divina. 11 Ma egli disse loro «Quale uomo tra voi, avendo una pecora, una (sola), se questa gli cade di sabato in un fosso, non l’afferra e la solleverà? 12 Ora, quanto è più prezioso un uomo di una pecora! Perciò è permesso di sabato fare del bene». I farisei hanno chiesto a Gesù se sia lecito curare in giorno di sabato. Gesù risponde allargando il quesito al valore di ogni uomo, ridicolizzando il comportamento dei farisei per i quali il loro interesse viene prima del bene dell’uomo. Per Gesù il bene dell’uomo è più importante dell’osservanza dei precetti divini. Il criterio di quel che è bene e quel che è male, permesso o no, non si basa per Gesù sull’osservanza o no della Legge, ma sul fare del bene, ossia sulla pratica dell’amore, l’amore non riconosce alcun limite che gli venga 3 posto. Tra il sacrificio da offrire a Dio e la misericordia verso gli uomini, Gesù sceglie quest’ultima (Mt 12,7). Nel suo esempio Gesù si richiama al rigido regolamento del movimento monastico degli Esseni, monaci contestatori del tempio di Gerusalemme. Costoro sull’ osservanza del sabato erano intransigenti: “Nel giorno di sabato nessuno aiuti una bestia a partorire e se cade in una cisterna o in una fossa il giorno di sabato non la si tiri su” (CD XI, 13-14). Il rigore degli Esseni si estendeva persino agli uomini: “Se una qualsiasi persona cade in un luogo pieno d’acqua in un altro luogo nessuno la faccia salire con una scala con una corda o con qualsiasi altro oggetto” (CD XI, 16-17). 13 Allora dice all’uomo: «Stendi la mano». Egli la stese, e quella ritornò sana come l’altra. Senza attendere alcuna risposta dai presenti, Gesù compie quel che ha detto: fare del bene. Gesù restituisce con la salute la vita e la dignità all’uomo. Il bene dell’individuo viene prima del rispetto della Legge di Dio. Quella di Gesù non è stata una scusabile trasgressione involontaria (Nm 15,22-29), ma volontaria, pubblica e meditata. Pertanto, il trasgressore del sabato è meritevole della pena di morte (Nm 15,30-31), secondo quanto prescritto nel Libro dell’Esodo: “Osserverete dunque il sabato, perché lo dovrete ritenere santo. Chi lo profanerà sarà messo a morte; chiunque in quel giorno farà qualche lavoro, sarà eliminato dal suo popolo. Durante sei giorni si lavori, ma il settimo giorno vi sarà riposo assoluto, sacro al Signore. Chiunque farà un lavoro di sabato sarà messo a morte” (Es 31,14-15; Nm 15,32-36). 14 I farisei però, usciti, tennero consiglio contro di lui per eliminarlo. In giorno di sabato per i farisei non è assolutamente permesso curare un uomo, ma si può decidere di assassinarlo. Quel che guida i farisei è il tornaconto, il proprio interesse e in base a questo interesse tutto diventa lecito. La decisione di eliminare Gesù (la prima che compare in questo Vangelo) è la conseguenza finale della logica aberrante che guida i farisei: secondo la loro fanatica concezione del 4 sabato in questo giorno non si poteva fare del bene (curare) ma fare del male sì (non curare). I farisei non hanno accolto l’invito di Gesù ad imparare cosa significhi che Dio preferisce la misericordia al sacrificio e per questo condannano degli innocenti (Mt 12,7). A essi non interessa il bene dell’uomo, ma il sacrificio dello stesso a Dio. L’ostentazione delle loro preghiere e dei loro digiuni non serve altro che a camuffare pensieri omicidi. I farisei decidono di eliminare Gesù perché sta iniziando a mettere in pratica quanto aveva annunciato: la fine del pesante giogo della Legge sostituito dal suo giogo, quello dell’amore, e molta gente lo sta seguendo su questa via (Mt 11,29). 15 Ma Gesù, saputolo, si allontanò [¢necèrhsen] di là. Molti lo seguirono ed egli li curò tutti, Il verbo ¢nacwršw allontanare, adoperato dall’evangelista, è lo stesso che si trova nel Libro dell’Esodo, quando il faraone cercò di uccidere Mosè: “Allora Mosè si allontanò [¢necèrhsen] dal faraone e si stabilì nel paese di Madian” (Es 2,15). Come il faraone cercava di uccidere Mosè, così i farisei vogliono eliminare Gesù. Faraone e farisei sono i nemici della libertà degli uomini. La guarigione che Gesù ha operato nei confronti dell’uomo nella sinagoga viene ora estesa a tutti coloro che con Gesù abbandonano la sinagoga, luogo d’oppressione e di morte. Nonostante sia ancora il sabato, costoro seguono Gesù che li ha liberati dal giogo della Legge: il temuto esodo dalle istituzioni si sta avverando. 16 ordinando loro di non manifestarlo, 17 affinché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia: 18 Ecco il mio figlio che io ho scelto; il mio amato, nel quale mi sono compiaciuto. Porrò il mio Spirito sopra di lui e annunzierà il Diritto ai pagani (le genti) [œqnesin]. 19 Non altercherà, né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce. 20 Una canna incrinata non spezzerà, e uno stoppino fumigante non spegnerà, finché abbia fatto trionfare il Diritto; 5 21 e nel suo nome spereranno i pagani (le genti) [œqnh]. È questa la più lunga citazione contenuta nel vangelo di Matteo. L’evangelista vede realizzato in Gesù un testo di Isaia (Is 42,1-4), che riporta adattandolo liberamente alla sua linea teologica (non usa la traduzione greca dei LXX e traduce liberamente l’ebraico). Il termine greco pa‹j significa sia servo sia figlio. L’espressione “il mio amato nel quale mi sono compiaciuto” che compare tre volte in questo vangelo (nel battesimo, Mt 3,16, in questo brano e nella trasfigurazione, Mt 17,5) è sempre riferita a Gesù quale figlio di Dio, e pertanto il greco pa‹j ha qui il significato di figlio. L’azione del Signore si estende ai pagani e non è limitata a Israele. Compito di Gesù è annunziare il Diritto, la nuova norma di comportamento che rende graditi a Dio e che non consiste più nell’osservanza della Legge ma nella pratica dell’amore estesa a tutti. Mentre la Legge era prerogativa esclusiva di Israele, l’amore può essere compreso da tutte le nazioni. Questa nuova relazione con Dio la può far conoscere solo il figlio amato, espressione con la quale nella Bibbia s’indica il figlio unico o primogenito, colui che eredita tutta la sostanza del padre, come era Isacco per Abramo (Gen 22,2.12.16). 22 Allora gli fu portato un indemoniato cieco e muto, ed egli lo guarì, sicché il muto parlava e vedeva. Strettamente legato a quanto affermato riguardo alla missione di Gesù (tÒte) l’evangelista colloca un altro episodio avente come tema la liberazione dell’uomo. Per descrivere l’azione liberatrice di Gesù l’evangelista non adopera il verbo scacciare [gr. ™kb£llw] come nell’altro caso in cui Gesù ha scacciato il demonio dal muto (Mt 9,32-33; 10,8), ma qerapeÚw guarire, usando lo stesso verbo adoperato nell’episodio della guarigione dell’uomo dalla mano inaridita. Con questo accorgimento l’evangelista intende unire tematicamente i due episodi: in entrambi Gesù libera il popolo dal dominio dell’istituzione giudaica. E l’adesione all’istituzione religiosa quel che indemonia gli uomini, accecandoli con l’ideologia nazionalista che li rende muti e incapaci di dialogo. Per questo la reazione della folla è di sconcerto: 6 23 E tutta la folla era sconvolta e diceva «Ma costui non è il figlio di Davide?». La folla è perplessa e si chiede come mai Gesù liberi la gente dall’idea di supremazia d’Israele sugli altri popoli, che è propria del Messia “figlio di Davide” (“Terrà i popoli dei pagani sotto il suo giogo per servirlo e renderà gloria al Signore sotto gli occhi di tutta la terra”, Sal Salom. 17,30). Non doveva il Messia figlio di Davide estendere il regno d’Israele conquistando e sottomettendo gli altri popoli? L’evangelista comincia a insinuare nel lettore che Gesù non sia figlio di Davide, ma, come verrà affermato da Pietro a Cesarea di Filippo, il figlio del Dio vivente (Mt 16,16). Gesù non assomiglierà a Davide, il re che toglieva la vita ai nemici, ma al Padre, colui che a tutti comunica amore e vita. 24 Ma i farisei, udendo questo, presero a dire «Costui scaccia i demòni mediante Beelzebùl, capo dei demòni». Ogni volta che Gesù compie azioni volte a liberare il popolo, spuntano puntuali i farisei allarmati (Mt 9,11.34; 12,2.24; 15,1; 19,3). L’opera di liberazione compiuta da Gesù inizia a sgretolare quella che era la certezza basilare d’Israele: di essere il popolo eletto chiamato a dominare tutte le altre nazioni (“Il popolo e il regno che non vorranno servirti periranno e le nazioni saranno tutte sterminate”, Is 60,12). E i farisei passano alla controffensiva. Non potendo negare gli evidenti effetti positivi dell’azione di Gesù, tentano di diffamare i motivi, e senza molta fantasia rinnovano a Gesù l’accusa, già espressa in occasione della guarigione del muto indemoniato, di scacciare i demòni per opera “del capo dei demòni” (9,34), del quale questa volta forniscono pure il nome: Beelzebùl. Tra i tanti demòni che popolavano il mondo giudaico, i farisei scelgono il temuto Beelzebùl, forma dispregiativa di Baal Zebub. Questo nome, composto da Baal [Signo-re], e Zebub [mosche] («Signore delle mosche»), è quello di una divinità filistea protettrice delle malattie, delle quali le mosche erano veicolo. Poiché a Baal Zebub si rivolgevano anche gli 7 israeliti per ottenere la guarigione (lo stesso re Acazia si era rivolto a lui per sapere se sarebbe guarito dalla sua infermità, 2 Re 1,2.6.16), i farisei deformarono il suo nome in Zebul, che significa letame. Mentre Baal-Zebub guariva, proteggendo dalle mosche, Baal-Zebul, «Signore del letame», le attirava e infettava la gente. Con questa calunnia i farisei invitano il popolo a stare alla larga da Gesù perché, anche se apparentemente libera e guarisce le persone, in realtà le rende ancora più vittime del demònio, in quanto i suoi poteri gli vengono dal «capo dei demòni». 25 Ma egli, conosciuto i loro pensieri, disse loro «Ogni regno discorde cade in rovina e nessuna città o famiglia discorde può reggersi. 26 Ora, se il satana scaccia il satana, egli è discorde con se stesso; come potrà dunque reggersi il suo regno? 27 E se io scaccio i demòni mediante Beelzebùl, i vostri figli mediante chi li scacciano? Per questo loro stessi saranno i vostri giudici. Gesù svela la stupidità dell’ accusa dei farisei mostrando la contraddizione delle loro argomentazioni: come può il satana essere in lotta contro se stesso? Se i satani si mettono in guerra tra loro, vuol dire che il potere del satana è finito. I “vostri figli” sono discepoli dei farisei che pratica-vano gli esorcismi: se Gesù, che libera le persone, agisce in nome del satana, i farisei e i loro adepti che in nome di chi agiscono? Non potendo avere due spiegazioni diverse per una stessa attività, l’accusa dei farisei tradisce la loro mala fede. 28 Ma se io mediante lo Spirito di Dio scaccio i demòni, è certo giunto fra voi il regno di Dio. La conclusione logica dell’argomentazione di Gesù è che la liberazione da lui portata è opera dello Spirito di Dio, e segno dei benefici effetti del regno di Dio che si sta già estendendo. 29 Come potrebbe uno penetrare nella casa del forte e rapirgli i suoi beni, se prima non lega [d»sV] il forte? Allora soltanto gli potrà saccheggiare la casa. 8 Il regno del satana non si sgretola per una lotta intestina tra i satani, ma perché si è manifestato qualcuno più forte del satana, e più forte del satana e dei demòni c’è solo il Dio che si manifesta in Gesù, il Cristo annunciato da Giovanni Battista come colui “che è più forte” (Mt 3,11). Per questo l’azione di Gesù sarà quella di saccheggiare l’istituzione religiosa, qui rappresentata dai farisei, liberando le persone a loro sottomesse. Gesù, con la forza dello Spirito di Dio saccheggia la casa del satana. Il Cristo e il suo messaggio di liberazione hanno la forza di legare il satana e così saccheggiargli la casa, liberando le persone sotto il suo dominio. Ma le autorità religiose, anziché collaborare con Gesù per legare il satana, saranno loro, veri agenti del satana, a legare Gesù per impedire la liberazione del popolo: “Tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Poi lo legarono [d»santej], lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato” (Mt 27,1-2). 30 Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde. Raccogliere/disperdere (gr. sun£gw/skorp…zw) sono verbi che si riferiscono alla riunione o dispersione del popolo di Israele (Ez 34,13.16; Is 40,11; 49,6). La neutralità nei confronti di Gesù non è possibile: chi segue i farisei andrà con essi verso la rovina e la distruzione, chi segue Gesù realizzerà con lui il regno di Dio. Gesù invita a collaborare con lui per raccogliere i beni (persone) saccheggiati dal satana. 31 Perciò io dico a voi: Qualunque peccato e calunnia/ bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la calunnia/ bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. Poiché l’insegnamento di Gesù gettava il discredito sulla loro dottrina, i farisei si difendono calunniando l’uomo sul quale è disceso lo Spirito di Dio (Mt 3,16), dichiarandolo posseduto da uno spirito impuro. 9 I farisei, profondi conoscitori della Scrittura, non possono ignorare che l’azione di Gesù può venire solo da Dio, ma poiché ammetterlo significa dover rinunciare ai propri privilegi e al proprio prestigio, affermano il contrario. Rivolgendosi direttamente ai farisei (dico a voi) Gesù li ammonisce che dichiarare impuro l’agire dello Spirito di Dio, è la calunnia/bestemmia contro lo Spirito, frutto di una malafede che mai si ravvederà e che quindi mai sarà perdonata. 32 E chiunque dica una parola contro il Figlio dell’uomo gli sarà perdonato; ma chi avrà parlato contro lo Spirito, quello santo, non gli sarà perdonata né in questo tempo, né in quello futuro. Gesù scusa chi non comprendendo il suo comportamento libero e indipendente dalle Leggi lo criticherà, per questo afferma che quel che è frutto dell’ignoranza o della fragilità delle persone verrà tutto perdonato. Ma il Signore ritiene imperdonabile il comportamento di quanti pur di non perdere il proprio prestigio “chiamano bene il male e male il bene”, come denuncia il profeta Isaia (Is 5,20). I farisei, sentenziando che in Gesù opera uno spirito impuro, si escludono dalla possibilità di chiedere e ricevere il perdono da colui che ritengono indemoniato. All’estrema indulgenza di Gesù verso coloro che sono nell’errore (gli uomini), si contrappone la massima severità nei confronti di coloro che volontariamente fanno cadere gli uomini in errore (i farisei).