Abbiamo una mattinata piena, densa; ieri sera Vito Mancuso ha parlato del suo ultimo libro, “Il bisogno di pensare” e la sua presentazione l’abbiamo collegata ad un altro suo libro “Il coraggio di essere liberi” e oggi Ortensio da Spinetoli.
Ortensio è stato un uomo che ha avuto il coraggio di essere libero e l’ha pagata, l’ha pagata duramente ma questo non gli ha tolto la sua serenità e lui ha avuto sempre non il bisogno, ma la capacità di pensare; l’unico torto quello che 1 dicevamo al nostro caro Ortensio, Ortensio noi adesso, arrancando, siamo finalmente arrivati sulle tue posizioni di 50 anni fa, però te nel frattempo hai camminato e quindi sei ancora avanti. Noi abbiamo come comunità, Ricardo, io, Amaro, un grande orgoglio, se guardate le foto di Ortensio che trovate in giro, quasi tutte sono state scattate qui al Centro perché lui ci considerava insieme agli amici cari di Recanati che lo hanno accolto come uno di famiglia, ci considerava la sua comunità, e una volta disse:<vengo qui volentieri perché qui non si respira l’invidia clericale> e questo è stato il complimento che ci ha fatto molto, molto bene. Possiamo affermare una cosa, crediamo di aver conosciuto abbastanza bene nel corso degli anni Ortensio, ne ha patite di tutti i colori, non lo abbiamo mai visto amareggiato, risentito ma sempre eccolo qui (indica un grande poster di Ortensio) con la sua arguzia negli occhi. Dicevo ieri presentando il libro di Ortensio che un giorno disse: hanno cominciato con proibirmi di scrivere articoli, di scrivere libri, poi mi hanno proibito di celebrare la messa, di predicare, di fare conferenze ma con un guizzo in quegli occhi ecco Ortensio dice non mi hanno proibito di pensare, e se siamo qui è proprio per celebrare e festeggiare il suo pensiero. Lui è stato rifiutato, osteggiato dai suoi frati, dai suoi Cappuccini. Nelle celebrazioni che facciamo di Ortensio non c’è un Cappuccino manco a pagarlo oro, non so se qui c’è qualcuno cappuccino di nascosto, ma non ci sono; ma come dice il vangelo, ha avuto cento volte in tanto, ha trovato gli amici di Recanati che sono stati la sua famiglia, in particolare Gianfranco a cui adesso gli concederò la parola ne ha preso cura e ha curato tutti i suoi scritti e li sta curando ancora. Allora oggi da Bergamo è venuto don Luciano Locatelli e chi è don Luciano Locatelli? Per chi segue Facebook è quello che dice <buon giorno mondo> che è il distintivo di Luciano Locatelli che verrà introdotto da Gianfranco: a te la parola. Intervento di Gianfranco CORTINOVIS : imprenditore bergamasco, nel 2005 incontra Ortensio, ne diventa discepolo, amico e stretto collaboratore nella stesura dei suoi testi, ricevendo da Ortensio l’incarico di “erede letterario”. Due cenni per introdurre don Luciano brevissimamente: don Luciano è evidentemente un prete bergamasco, anche se lui ogni tanto dice che si sente più un laico ridotto allo stato pretale.
Il percorso della sua vita è articolato, si è svolto attraverso esperienze diverse, la sua formazione teologica è avvenuta nella congregazione dei Sacramentini nei 2 seminari di Fermo e di Lovanio; poi da giovane prete è per 10 anni in Congo, dove per sei anni fa attività di promozione umana ed evangelizzazione nei villaggi di una zona del centro del paese e poi per gli altri 4 anni è viceparroco in una parrocchia della capitale Kinshasa. Rientra in Italia e passa dalla sua congregazione (mi sono dimenticato di dire che la formazione teologica è avvenuta nella congregazione dei sacramentini) passa alla diocesi, diventa prete diocesano della Diocesi di Bergamo. Per circa otto anni è parroco in alcuni paesi della provincia e negli ultimi 4 anni gli vengono affidati degli incarichi all’interno della Caritas diocesana dove lavora a servizio degli ultimi della terra, praticamente i migranti e i malati di AIDS poi credo che faccia anche la messa in un istituto di suore, penso, non son sicuro. Pur essendo uno che come vedete va sul concreto, non ha mai trascurato lo studio, l’approfondimento, il pensiero, in particolare lo studio del Nuovo Testamento e mette a disposizione le sue personali risonanze, rispetto a quello che lui sente nel vangelo del giorno appunto in questo post che pubblica quotidianamente su facebook <buongiorno mondo> ed è soggetto anche, c’è da dire a dei feroci attacchi da parte dei gruppi tradizionalisti con motivo di discussione vivace. Lui ha conosciuto Ortensio prevalentemente attraverso i suoi libri, ma da giovane seminarista, si parla del 1985, ha avuto a mio avviso, l’incredibile fortuna di avere Ortensio come guida per una settimana all’interno degli esercizi spirituali, che ha fatto al seminario di Fermo, quindi Ortensio era stato a Fermo in questo seminario dove c’era appunto Luciano, poi lui dice che però l’hanno chiamato quell’anno lì e poi …. basta. Quindi don Luciano è un prete di frontiera evidentemente, sia per quello che fa e anche per quello che dice, come dicevo è uno studioso. Ha pubblicato recentemente anche un libro sul vangelo di Marco. La prima volta che ci siamo conosciuti, non lo conosco da tantissimo tempo, dopo un quarto d’ora di dialogo serrato, di un bellissimo dialogo in cui io mi sono sentito in profonda sintonia con lui, ad un certo punto gli ho detto: guarda io da oggi ricomincio a credere ai miracoli, perché se uno come te riesce a stare nella Chiesa cattolica, non vedo altra possibile motivazione che sia un miracolo. Ma lui mi ha risposto invece in un altro modo, dicendo: guarda che forse il miracolo vero è il fatto che la Chiesa accetti nelle sue file uno come me. Io ho colto nella storia di don Luciano molte assonanze con la storia, la vita e il pensiero di Ortensio e quindi mi è sembrato opportuno, utile invitarlo per condividere con noi qualcosa che lui ha colto, ha capito, ha raccolto, di questo nostro grande Ortensio; per cui gli cedo la parola. 3 Intervento di Don Luciano LOCATELLI : Diceva prima Alberto che non ci sono confratelli di Ortensio qui, in compenso c’è un ex sacramentino che Ortensio ha citato nel suo testo a pagina 36 (da L’inutile fardello) o quando dice appunto: <la pietà cristiana, a torto ragione,è prevalentemente fondamentalmente, Eucaristica. Tutto ruota intorno alla presenza Gesù etc. etc., la visita al Santissimo, ore e quarant’ore ….; per non parlare degli istituti religiosi (i <sacramentini>) che si propongono di sostenere e diffondere il culto eucaristico. Quindi Ortensio ci conosceva. Quando Gianfranco mi ha regalato un po’ questa fregatura fraterna di venire qui a parlare di Ortensio, per tenerlo vivo in mezzo a noi oggi, la prima cosa che mi è venuta in mente è una frase che Giovanni di Salisbury, (che non so chi sia e non mi interessa) ma conosco invece il maestro di Giovanni di Salisbury, Bernardo di Chartres che credo sia diventato famoso soprattutto per questa frase che diceva: <siamo come dei nani seduti sulle spalle dei giganti> e io parlare di Ortensio oggi, tra l’altro accanto a me c’è Alberto, in giro c’è Ricardo, ci sono gli amici di Ortensio, mi sento veramente un nano perché se vedo con un po’ più di acutezza un po’ più lontano non è per merito mio ma per merito loro. Allora son partito dall’ultimo testo <Ortensio da Spinetoli, L’inutile fardello; pubblicato per Chiarelettere di Milano, un volume postumo di scritti del grande biblista e teologo marchigiano> che tra l’altro mi sembra di facile lettura, non serve di grandi commenti anche perché come diceva prima Alberto è un testo che bisogna leggere fondamentalmente in ambienti dove non c’è posto per l’invidia clericale altrimenti davvero non si comprende il testo. Mi sono posto questa domanda: se Ortensio oggi dovesse raccontarci un sogno, meglio ancora il suo sogno di Chiesa, che cosa potrebbe narrarci? Mi sono detto quali immagini potrebbero essere contenute in questo sogno? Allora davanti a questa domanda mi sono detto: più che parlare io, vorrei lasciare la voce, prestare la mia voce a Ortensio stesso perché ce ne parli lui. Allora ho sviluppato questa cosa in tre punti, non so perché poi il tempo che è tiranno ..Mi sono venute in mente fondamentalmente tre immagini di questo possibile sogno, spero che poi .. magari Ortensio non è d’accordo con me però…; tre immagini possibili di questo sogno sulla Chiesa, che Chiesa amerebbe Ortensio. La prima è questa, sicuramente a partire dalla sua storia, dal suo studio una Chiesa di parola, una Chiesa della parola. Una Chiesa che si fonda sulla parola, papa Francesco ama parlare del nostro tempo come un tempo che è 4 definito non come un’epoca di cambiamento ma come un cambiamento d’epoca, quindi qualche cosa di molto più profondo, rivolgente, più grande. Allora in questo cambiamento d’epoca credo vi sia una chiamata fondamentale a diventare non solo uomini e donne di parola, che già sarebbe tanto per i nostri tempi, perché abbiamo svenduto il valore della parola. Se vi ricordate fino a qualche anno fa tra uomini bastava una stretta di mano e ci si fidava sulla parola. Già diventare di nuovo uomini e donne di parola sarebbe tanto, quanto meno nella Chiesa. Ma credo che Ortensio ci inviterebbe a diventare anche uomini e donne della parola, una parola quella della rivelazione sicuramente che esige sì tanto amore ma anche tanto rispetto e un rispetto che nasce non dalla falsa venerazione, ma dalla fatica del lavoro sul testo, è da lì che nasce il rispetto. Ortensio stesso, ve lo leggo, dice così: <qualsiasi presentazione o traduzione storica della verità, riferendosi poi alla verità biblica, è sempre condizionata alla maturità culturale, psicologica, spirituale, sia di chi la trasmette, sia di chi la riceve>, sulla base di questo allora Ortensio ci ricorda che l’evangelizzazione non è la standardizzazione dei testi neotestamentari, ma la loro rilettura, quello che in fondo Alberto e Ricardo fanno e ci offrono, la trasposizione alle situazioni nuove in cui l’uomo è chiamato a vivere e alla maturità spirituale a cui è pervenuto. Importa sempre ricordare ciò che Gesù ha detto e fatto, ma ancor più ciò che direbbe e farebbe se per aiutarlo a risolvere i suoi problemi si rivolgesse all’uomo di oggi, inquadrato naturalmente in situazioni sociali e culturali ben diversi dalle sue; è una grande lezione che bisogna tener presente per diventar uomini e donne della parola. Qui in questo percorso che ci conduce al rispetto profondo Ortensio ci conduce dritti ad una richiesta ben precisa che dovrebbe essere scolpita nel bronzo: leggere e interpretare la bibbia pertanto non è questione di autorità, ma di competenza cioè di conoscenza del mondo, delle lingue, del linguaggio biblico, e qui arriva la stoccatina: se non la si possiede non la si può sostituire con nessun altro titolo, nemmeno fare appello alla grazia di stato, cioè una speciale assistenza dello Spirito, perché questa è elargita senza riserve a tutti quanti sono in ascolto della sua voce: tutti hanno accesso allo Spirito, non solo qualcuno ordinato; intendiamoci. Poi finalmente ci ricorda una cosa che farebbe bene davvero alla Chiesa: non è certo facile togliere di mezzo i vescovi e gli esponenti dei dicasteri romani, ma un buon consiglio Ortensio glielo fa arrivare. Ma se questi potessero provare a tacere se non altro per il troppo parlare che hanno fatto fino adesso ne avrebbe senz’altro un gran beneficio tutta la comunità credente. Credo che possiamo sottoscrivere, no! Abbiamo una gerarchia ecclesiale che a volte si compiace un pò di parlarsi addosso, si va a cercare competenze anche presso la gerarchia e si viene continuamente rimandati ad 5 altre istanze. Tante volte ho l’impressione che i nostri pastori siano un po’ come quegli uffici pubblici in cui uno va per un certificato e ti dicono guardi si rivolga allo sportello 3, dal 3 ti mandano al 10, al 10 dicono .. no deve andare in segreteria al piano di sopra; perché nessuno osa la libertà di una risposta che nasce anche dal confronto personale con la parola, ma il confronto personale basato sulla fatica, sullo studio, sul rispetto verso questo dono che ci viene dato. Mi piace ribadire tutto questo parlando di parola umana e divina allo stesso tempo, perché questo tema ci porta dentro l’ambito di un altro tema che Ortensio forse non ha affrontato in maniera diretta ma che oggi affronterebbe che è il tema della comunicazione. Se tenete presente ci dicono spesso che siamo nell’era delle comunicazioni, sempre più veloci tra l’altro, dicono, non lo so! Però se ci pensate bene siamo nell’era delle comunicazioni ma credo che abbiamo perso “la” comunicazione, perché si continua a dire, dire e alla fine di quel dire non c’è nulla, resta ben poco come una scatola di pellet, hai 15 chili di pellets, ma alla fine quando hai bruciato tutto hai una scodellina di roba, non c’è più niente. Il tema della comunicazione credo sia importante soprattutto all’interno di una Chiesa che tenta di dialogare con il mondo oggi, tanto che mi piacerebbe farvi ascoltare la parola di un altro grande e compianto maestro che sicuramente Ortensio ha apprezzato, e apprezzerebbe tutt’oggi che è Silvano Fausti (morto 24 giugno 2015), penso che conosciate! No? Era un gesuita vissuto alle porte di Milano, Villapizzone, anche lui grande studioso, amante della Scrittura, e della scrittura trasmessa. Silvano dice questo: la comunicazione è importantissima quando è vera, se è falsa ti distrugge, perché siamo fatti per la parola. Tutta l’economia, gli imbrogli, le guerre, le ingiustizie sono menzogna; il bene e il male sono nella nostra comunicazione, nella parola; è da lì che nasce il bene e il male e Dio comunica con la parola, anzi è Parola, è quella parola che ha il potere di generarci come figli di Dio, perché uno è generato dalla parola che ascolta. La parola suppone: l’intelligenza, la libertà, la volontà, l’amore, è comunicazione, comunione, dono di sè, che mette due esseri in dialogo. Immaginate la forza della parola che ci viene donata attraverso il testo biblico, cosa potrebbe combinare. Penso che Ortensio aggiungerebbe questo: il vangelo più che una dottrina è un progetto di vita, è uno stile di vita da assumere, che occorre senz’altro comprendere, sì, ma soprattutto tradurre nella vita e nella storia. Se accontenta la ristretta cerchia di ascoltatori senza spingerli ad intervenire nelle situazioni false, ingiuste, esistenti nel loro mondo, il vangelo resta frustrato nella sua fondamentale istanza, quindi il conforto intimistico può alienare il credente dalle sue responsabilità o peggio cullarlo nell’illusione. È importantissima questa parte soprattutto oggi, perché se, come diceva anche Martini non ripartiamo dalla Parola, o cadiamo, o 6 scadiamo meglio in quella spiritualità melensa che: o Gesù, o Gesù, o Gesù mio! Oppure addirittura prendiamo la Parola come dei fondamentalisti, e succede oggi, si prende la Parola la si legge così e lo dice il Levitico che non giacerai con altro uomo…; quindi non si può! Capite? Ma c’è tanta gente che oggi funziona così? Eh? E tanti preti devo dirlo? Io spesso e volentieri…; grazie a Dio non ho parrocchia e non la voglio, sul serio, non scherzo, non la voglio perché sono intimamente convinto che tra 10 anni le parrocchie sono finite, sono vuote, basta. Ho detto al mio vescovo: tu sarai un’ottima persona, sei una brava persona, poi lo considero un fratello insomma, a un fratello le cose gli si dicono, non è che si nascondono; tu stai facendo accanimento terapeutico con le parrocchie, si! Perché sono realtà di fatto, sì ne salviamo qualcuna? Va bene! Ma di fatto la realtà parrocchia è finita, è morta, volenti o nolenti e se non siete d’accordo ragazzi miei, vi metterà d’accordo il buon Dio perché succederà così. Questa istanza, questo paradigma di Chiesa fondata sulle parrocchie che nasce e viene poi approfondito e sviluppato a Trento, è finito. Allora perché continuare a gettare energie e sforzi lì dentro quando dovremmo interrogarci invece su che modo tener viva la lampada, la luce del vangelo, oggi, visto che la parrocchia è diventata la coperta che copre questa luce oggi. Non si accende la luce per metterla sotto il moggio, ma la si mette in alto. Ora se la parrocchia è il moggio non va bene, e il vescovo mi ha detto: tu non capisci! Lo so che non capisco, però spiegami quello che hai capito tu, perché non capisco io quello che hai capito tu! Poi ne discutiamo fraternamente, tanto per dirvene una ho chiesto al mio vescovo il permesso di fare una cresima, per una persona proveniente da Genova, uno di quei casi un po’ disperati che seguo, così! Ho cominciato a spiegargli perché ho deciso di fargli la cresima; mi ha stoppato in 10 secondi, mi ha detto: tu sei quello dei casi disperati, non dirmi più niente ti firmo la delega e vai a casa. Mi stima anche il mio vescovo! Allora quello di cui abbiamo bisogno in questo anno per diventare uomini e donne della Parola è essere, come direbbe Ortensio, un vangelo vivente: vangelo vivente è la definizione che più di ogni altra si addice alla Chiesa del domani, che non brillerà per cultura, potenza politica, nemmeno per ridondanza di verità ma per operazioni salutari, perché danno salvezza, la pienezza della vita lo “shalom” tutto ciò che concorre al benessere, alla felicità di ciascuno. I cristiani non sono, dice Ortensio, coloro che hanno un determinato credo, ma coloro che sanno assumere determinati comportamenti e cercano di farne avvantaggiare la società di cui fanno parte. Non è questione tanto di essere credenti, ma soprattutto di essere credibili, nel proprio modo di vivere; quindi uomini e donne della parola in questo senso. 7 Secondo aspetto che tocca Ortensio in particolare, ma io penso che tocca anche me perché provengo da quel mondo. Ho dato un titolo un po’ strano a questo paragrafo, non so se .. spero di riuscire a rendere l’idea, “in mezzo, Chiesa Eucarestia” . In mezzo vi dice qualcosa? A parte Alberto lo so che sa, ma dice qualcosa a voi l’espressione “in mezzo” ? Allora <in mezzo> è l’espressione che gli evangelisti usano per situare sempre la presenza del Risorto e se voi ci fate caso nelle apparizioni il Risorto appare sempre <in mezzo> ai suoi. Allora potrebbe sembrare un dettaglio insignificante, Alberto ci insegna che gli evangelisti quando scrivono non mettono mai lì le cose a caso, non è che si divertono a dare dei dettagli così…; facciamo una piccola grechina.. no, no, no! E’ importante perché per comprendere cosa vuol dire questo “in mezzo” e le conseguenze raffiguratevi la figura di un cerchio e traetene le conseguenze, qual è la caratteristica del cerchio? In geometria la definizione esatta è che i punti della circonferenza sono tutti equidistanti dal centro. Allora penso che ci arriviate no? c’è un centro, si! che è appunto “in mezzo.” E’ Lui che sta in mezzo e tutti i punti sono equidistanti da questo centro, che è Colui che appare in mezzo; lo dice anche Lui stesso dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro. (Mt.18,20) Allora l’immagine che Gesù comunica attraverso questo suo modo di porsi dentro la storia delle persone credo sia proprio questo: una comunità, un gruppo, un insieme di uomini e donne tutti con la medesima dignità, tutti con la medesima identica possibilità di rivolgere il proprio sguardo verso il Maestro e intrattenere con Lui una relazione personale perché occorre dare una risposta personale. Il Maestro interpella sempre la libertà di ciascuno, si è responsabili da questo punto di vista, come diceva ieri Vito Mancuso, responsabile è colui che sa rispondere di.. quindi questa relazione personale provoca la mia libertà, direbbe qualcun altro che non mi piace neanche nominare, ma ci obbliga a scendere in campo, va bene, ok! Ci obbliga a dare la nostra risposta personale e poi non siamo soli, perché è un gruppo, in un cerchio c’è una continuità, tutti i punti sono uniti gli uni agli altri per cui da questo punto di vista non si è mai cristiani da soli, si vive sempre insieme questa cosa. Allora se c’è una differenza a questo punto tra i vari membri che compongono questo cerchio ideale, questa sta semplicemente nella capacità di assumere l’unica posizione che il Maestro ha assunto in vita sua, una posizione fisica che è in mezzo, ma come? Non in piedi, ma in ginocchio con un grembiule o un asciugamano, cioè la capacità di ritradurre nella nostra vita questa posizione del Maestro che si china in ginocchio davanti all’umanità per mettersi al suo servizio. 8 Quindi l’esperienza qualificante o identitaria del cristiano, oggi soprattutto, non credo che risieda, per quanto necessaria, non sono qui a dire che non serve a nulla ma ..; non risiede essenzialmente nella conoscenza filosofica o teologica di un determinato corpus dottrinale, quanto nell’attuazione, c’è lo ricordava questa mattina Alberto, ce l’ha ricordato parecchie volte anche nell’Eucarestia e fa bene a farlo, a ricordarcelo, quanto proprio nell’attuazione di quel dono di sé che celebriamo nell’Eucarestia e che ci fa poi secondo l’espressione usata, ci permette di farci “pane” per chi incontriamo. Su questa cosa mi permetto di ricordare che nel nostro messale dopo la così detta consacrazione, stiamo ai termini che vengono usati, per intenderci; dopo la consacrazione del vino ci sarebbe quella formula <fate questo in memoria di me>, noi siamo abituati a sentirla e poi magari i preti la dicono anche in fretta perché si sono dilungati in predica quindi la seconda parte della messa viene sbrodolata in una maniera…è vero eh! Tante volte si fanno 25-30 minuti di predica e 10 minuti per tutto il resto, Gesù dice: <fate questo…; > fate, non celebrate è importante. Se le parole sono importanti, in questo caso il verbo è importantissimo, non dice celebrate cioè inventatevi un rito per questa far sta roba qui, per ricordare questa cosa, ma fate è proprio fattivo, è un fare proprio! In bergamasco adesso io devo dirlo in bergamasco perché c’è qui della gente, tra l’altro che io ho scoperto questa mattina con la messa, mi sento chiamare da qualcuno e dice: vengo da Clusone che è una valle accanto alla mia, una valle ve lo dico in confidenza, tanto loro non ascoltano, è una valle piena di tradizionalisti; se dovessimo tradurre quel “fate” in bergamasco direbbero “das de fa”, datti da fare, non è celebrare, non è fare il teatrino, uno dice impara una parte e poi vai lì è finita, no! E’ un darsi da fare che entra nelle profondità della vita. Quindi siccome questo purtroppo è stato ridotto per troppo tempo e ancora oggi ha una mera ripetizione di presunti gesti di Gesù, perché non sappiamo come sia andata quella cena, cosa abbia fatto, avrà detto sicuramente qualcosa in quel modo ma non certamente come lo facciamo noi, noi ci siamo preoccupati di definire i particolari come celebrare questo. Avete presente il messale romano? Ecco! voi togliete le rubriche che sono tutte le parti rosse, togliete le rubriche diventa un libretto dei canti. Si! perché si è preoccupatissimi, adesso si fa così, adesso il prete fa così, adesso il diacono fa cosà. Io mi ricordo che c’era uno dei nostri padri, anziano poverino, va bene era un po’ andato e un giorno durante l’Eucarestia ad un certo punto eravamo in quaresima e stava presiedendo l’Eucarestia e in quaresima non c’è il gloria, c’è la rubrica con scritto su <il gloria si salta>, lui ha letto: al gloria si salta, voi immaginate [risata generale]. Allora una visione Eucaristica, o meglio una Chiesa, una comunità Eucaristica centrata soprattutto sulla ripetizione del rito, sull’osservanza delle regole rituali etc., direbbe Ortensio sono parole sue ve le ripeto: <una tale 9 interpretazione anche se correntemente affermata, tutti dicono è che così deve essere, appare riduttiva. La cena è certamente un memoriale, ma non di se stessa, cioè del rito che Gesù ha compiuto nel corso dell’ultima Pasqua, bensì in quanto egli ha realizzato nel corso della sua vita per il bene di quelli che ha incontrato, delle moltitudini, egli ha raccolto i suoi intorno ad un comune tavolo, non tanto per misurare la loro devozione verso di Lui, quanto per misurare la capacità di accoglienza degli uni verso gli altri>. A me viene in mente i miei padri quando, beati loro, santi uomini però.. Vergine beata.. eravamo seminaristi, io sono entrato nel ’75, in seconda media, immaginate un pò cosa potevo pensare in seconda media e questi qui ci portavano in chiesa e mi ricordo c’era padre Francesco, che ci indicava il Tabernacolo e ci diceva: vedi là? Gesù è prigioniero, tu devi venire qui a fargli compagnia più volte che puoi durante la giornata, noi siamo venuti su così!!. Gesù il divin prigioniero? Pensate che questa congregazione, i sacramentini, dovrebbe essere la congregazione che effettivamente spinge per portare avanti un rinnovamento dell’Eucarestia …. il divin prigioniero: è stata una delle cose che mi hanno causato delle sospensioni a non finire perché non ci andavo… La prima sospensione che ho avuto in seminario, 15 giorni dopo essere entrato, ero precoce, mi fa venire in mente perché è una cosa che ha detto Alberto, ma a me è capitata, (non mi ricordo in che intervento tu l’hai detto), mi ricordo che quando sono entrato, io vengo da una famiglia operaia contadina, a casa ce la spassavamo tutti così insomma, non c’erano problemi, io ho sempre dormito anche con mia sorella in camera, niente di che, normale, va bene! Arrivo in seminario e mi ritrovo la prima sera che per cambiarsi e mettersi il pigiama bisognava andare sotto le coperte, immagina in inverno!! Sopra la camera c’erano gli studi, le aule, ad un certo punto vado di sotto e c’era tutta la fila classica dei cessi, gabinetti, turche e sotto ogni sciacquone c’era un cartellino con scritto su: <Dio ti vede>, [risata generale] sul serio, eh? C’è ancora! Se venite vi faccio vedere ne abbiamo salvato uno, <Dio ti vede>. La prima sospensione che mi son preso dopo 15 giorni l’ho presa non perché ho staccato il cartellino, ma perché con il pennarello ho scritto sotto <ma non fa la spia>, [altra risata generale e applauso] Vi assicuro che mi hanno dato 5 giorni di sospensione con l’obbligo di frequenza perché la scuola non te la perdi comunque, che voleva dire pulizie dei gabinetti e dei corridoi, niente ricreazione, perché che cosa hanno fatto? L’assistente dell’epoca, il prefetto dell’epoca è andato là, ha controllato la scrittura e ha fatto scrivere le stesse parole a tutti; io ho detto sono stato io, va bene, però siamo venuti su, era così, poi i tempi sono cambiati. Questo succedeva con noi ma pensate dal punto di vista spirituale etc., la visione che passava con il divin prigioniero; le colpe.. noi eravamo ragazzini ma alla sera l’esame di coscienza che ci facevano! Secondo me manco la 10 Gestapo eh!!, ma davvero, delle cose assurde. Alcuni di noi non capivamo e qualcuno è rimasto anche traumatizzato da alcune cose, poi ho avuto anche la fortuna di avere dei formatori che alla fine sono riusciti a liberarmi da tutto questo e poi buona parte me la sono fatta io di strada. Capite un po’ cosa vuol dire ad un certo punto scadere dentro una visione dei sacramenti e dell’Eucarestia in particolare, dove tutto deve essere ritualizzato e per essere ritualizzato in maniera perfetta, precisa, bisogna essere anche noi perfetti, precisi, degni, il merito e tutte queste faccende. Ortensio direbbe ancora: <il fate questo in mia memoria può avere quindi un significato superficiale, cioè la semplice commemorazione rituale o liturgica della morte del Signore e uno più profondo: ritualizzazione della sua morte oltre che nei segni nella propria vita cercando di spenderla per lo stesso motivo e con lo stesso coraggio con cui e per cui Gesù ha vissuto la sua. Una Chiesa che non ricomprende l’Eucarestia a partire da questo è una Chiesa che rischia davvero di essere una presenza parassitaria dentro la società. La celebrazione Eucaristica, dice Ortensio, è sacrilega quando non ripete le intenzioni di Cristo, cioè quando in fondo non comunica e non ti invita a riassumere e riattualizzare dentro di te, non l’ultima cena ma il suo stile di vita, il suo modo di vivere, il suo modo di essere dono, quando non spinge i presenti a impegnare le proprie energie per la costruzione del Regno; dice Ortensio, che si identifica con la felicità di ogni uomo, per il quale Gesù ha lottato ed è morto.> Quando io sento dire ancora oggi Gesù è morto per i miei peccati io gli rispondo: io non glielo ho chiesto, credo sia morto per ben altro, per qualcosa che gli stava più a cuore, che è il nostro star bene, il nostro benessere. E’ urgente quindi recuperare il senso autentico dell’Eucarestia che Ortensio descrive come centro/cuore della Chiesa e della vita comunitaria. Questo recupero credo ci aiuterebbe a superare anche dal punto di vista teologico quelle storture, quelle deviazioni, quelle visioni distorte come la teologia del sacrificio, la teologia della espiazione vicaria che sono alla base poi di tutta quella maledetta spiritualità del merito che ha rovinato migliaia di persone, che ha impedito loro di avere accesso al cuore del Padre perché non ne sono degno, mi hanno detto che non me lo merito, mi devo meritare l’amore di Dio. Voi sapete che merito viene da…; la radice della parola merito è la stessa radice che genera la parola meretricio, non faccio la battuta, non posso farla… Pensate che a detta di Ortensio, e io condivido con lui questa cosa, anche se bisogna prendere sempre con le pinze, anche all’interno Scrittura bisogna lavorarci sopra perché non è tutto oro colato, Ortensio diceva l’autore della lettera agli Ebrei per esempio, ha fatto nascere queste cose qui, 11 dice Ortensio, <l’autore della lettera agli Ebrei è un maestro di esegesi rabbinica, più che un portavoce di Dio. Egli non ha cercato di approfondire l’esperienza di Gesù alla luce dei fatti che l’hanno riempita, quel che Gesù ha fatto, ma alla luce della cultura biblica utilizzata liberamente o arbitrariamente in funzione di una sua particolare tesi quale la continuazione, sublimazione del culto del sacrificio giudaico e quello cristiano>. Quello per cui Gesù in effetti è morto noi l’abbiamo ripreso e rimesso dentro, in pieno e addirittura non in versione migliorata, ma peggiorata. Pensiamo alla svolta che chiamiamo tutti per convenzione, la svolta costantiniana, abbiamo desunto da lì gli abiti liturgici che utilizziamo ancora oggi, le pianete, la casule, le dalmatiche, le funicelle…, vengono dagli abiti della corte imperiale. Allora ciò per cui Gesù in effetti è morto… dopo che lui ha dato la vita ha detto: ragazzi basta co ste storie qui, finitela fuori! Noi l’abbiamo preso, messo in versione peggiorata, tirato dentro, dicendo: è Gesù che vuole così. Ortensio continua a scrivere <con questo l’autore della lettera agli ebrei può darsi ha reso un cattivo servizio alla fede e a Cristo, io leverei il può darsi.. L’immagine del Dio giusto anzi vendicativo che Gesù aveva cercato di distruggere riprendeva vita, solo che questa volta non si placava con il sangue degli animali, ma di un innocente, addirittura del proprio figlio. I sinottici avevano avanzato l’ipotesi che lo scandalo della croce era stato voluto e programmato da Dio, ma non avevano aggiunto per i peccatori o per i peccati dell’umanità, si erano fermati lì; probabilmente si erano resi conto che c’era qualcosa che non andava quindi non hanno scavalcato il muretto, l’autore della lettera agli ebrei, dice Ortensio, è andato oltre il verosimile>. Capite perché è importante anche davvero recuperare la dimensione autenticamente storica del messaggio e della vita di Gesù per ricentrarci su queste cose. Noi purtroppo siamo eredi di una storia, di un percorso storico che purtroppo ci segna ancora pesantemente, siamo figli non del Vaticano II noi, volenti o nolenti, abbiamo addosso ancora lo zaino del concilio di Trento. Non c’è niente da fare, da quel paradigma là facciamo molta fatica a liberarci. Io tante volte dico scherzando che sì, abbiamo avuto il Concilio Vaticano II ma a ben guardare, in tante realtà, tante, troppe, la sua attuazione o i suoi documenti potrebbero benissimo chiamarsi decreti attuativi del concilio di Trento perché su tante cose sì il Concilio ha detto, ha aperto la porta ma poi siamo tornati indietro; un esempio? Sacramento dell’ordine, guardate un po’ che razza di aura di sacralità è stato messo addosso a questo sacramento, sembra quasi che ne sappiamo più di Cristo stesso noi preti, siamo meglio di Lui, per quello io amo dire che sono un laico ridotto allo stato pretale. Oppure il sacramento della riconciliazione pensate quanta fatica, ci si era arrivati, poi si è tornati indietro; la fatica per arrivare alla benedetta terza formula, la confessione con l’assoluzione generale e poi nel giro di un anno, 12 tornati indietro,eliminata. L’unica formula valida è quella con l’assoluzione singola dei penitenti che è la stessa cosa che dice il Concilio di Trento; identico. Noi è da 5 anni che nel gruppo il “popolo della senape” due volte all’anno facciamo una bellissima celebrazione comunitaria dove c’è un bel momento di preghiera, di confronto con la Parola etc., quindi ci si lascia davvero illuminare e alla fine si riceve l’assoluzione generale. Il mio vescovo mi ha detto lo sai che non puoi? È vero, è vero perché il permesso è riservato a lui. Io ho detto, è vero, lo so che non posso, però ti rispondo visto a questo punto che tu ci tieni tanto alla stessa maniera canonica: commetto un atto illecito ma comunque valido. Salto un po’ e vado all’ultima parte, il terzo punto che credo starebbe a cuore a Ortensio, io l’ho chiamato: dal ritorno di Cristo al ritorno a Cristo. Allora qualcuno potrebbe accusarmi di avere un orizzonte limitato, di non aprire alla speranza: Ci credo che Gesù ritornerà non so come, non so quando e sinceramente non mi interessa, non è che non ci dormo alla notte perché non so come Gesù verrà, non mi interessa proprio. So che questa speranza si fonda sul fatto che Lui ha passato la soglia e mi ha detto: guarda che la vita comunque continua, anzi continuerà in pienezza. Questo mi basta e non sto lì neanche a scervellarmi a capire come e quando. Quello che a me invece pare importi della lettera di Ortensio che pur non rifiuta la dimensione escatologica perché anche lui è attentissimo alla speranza etc. etc., però quello che a lui importa non è tanto il ritorno di Cristo, quanto il ritorno a Cristo, questo è fondamentale oggi per noi, per qualsiasi comunità cristiana o Chiesa che dir si voglia. Dice Ortensio: Il ritorno a Cristo è il presupposto di qualsiasi rinnovamento ecclesiale, ma Cristo non è la stessa cosa che la versione teologica che di lui hanno lasciato gli evangelisti e che hanno ribadito nel tempo la predicazione e l’insegnamento ufficiale, occorre andare oltre. Egli è una testimonianza, una esperienza di vita con la quale i suoi seguaci sono chiamati a confrontarsi, non tanto un sistema di pensiero che debbano mettersi in mente, pensate a quanta catechesi abbiamo avuto in questi anni, i nostri figli sono come gli yogurt arrivano a scadenza, alla cresima… finita, la catechesi è da buttare, perché? Perché continuiamo a proporre loro delle cose da mettersi in testa che non gli dicono niente, perché poi gliele mettiamo in testa anche male e non tocca la loro vita a differenza per esempio della catechesi biblica, della narrativa biblica dove non si raccontano delle verità da credere, ma dei fatti in cui entrare e con i quali confrontarsi, lì allora non puoi esimerti, lì devi dare la tua risposta. Gesù ha insegnato agli uomini a comprendere la bontà di Dio il Padre ed amare. E’ il messaggio che hanno ripetuto e portato avanti i suoi discepoli ma essi hanno cominciato contemporaneamente anche a teorizzare sulla sua 13 persona e su quanto Egli ha detto. Allora dobbiamo ritornare all’esperienza di Gesù, ripartire da lì, assumere il suo stile e tradurlo nella nostra vita. Ortensio direbbe oggi: la Chiesa potrebbe fare anche a meno di denominarsi cristiana quando in concreto rivive ciò che Gesù ha detto e ha fatto. Non servono definizioni o nomi, non ha importanza al di fuori dell’agire che ricalchi il ruolo di Cristo nemmeno ha valore una determinata confessione di fede quando è sostituita dalle operazioni cioè dalla vita concreta. Cristiano infatti non è chi parla come Cristo, ma chi agisce come Lui, ateo e credente, religioso e laico sono appellativi che riflettono una determinata cultura, un modo di pensare, più che un modo di vivere. Gesù non è venuto a proporci un sistema di pensiero per quanto poi Mancuso ci scriva dei libri, è venuto a proporci uno stile di vita che nasce anche dal pensiero, però è questa l’importanza. Allora concludo perché ormai è tardissimo, lascio la parola ad Ortensio: <l’immediato futuro; dice Ortensio che è un po’ sconsolato qui però lui ci crede comunque; avanzerà ancora sul tracciato ben noto, ossia della restaurazione, lo vediamo, le persone che vi camminano sono troppo sicure, troppo convinte per dubitare della funzione che ricoprono, ma di fatto esso si è già sfaldato nei migliori teologi e nei migliori interpreti della Parola e si sfalderà sempre più quando i risultati della ricerca diventeranno sempre più di pubblico dominio; quello che lui ha iniziato adesso..; sarà il giorno in cui Cristo apparirà in tutto il suo splendore, ma anche in tutta la sua colorazione e tutti i credenti senza che uno abbia la pretesa di possedere una luce più vivida dell’altro, illumineranno i fratelli che ancora lo ignorano. Il 2000; dice Ortensio; sarà il millennio del grande ritorno all’unità della fede, perché Cristo avrà ripreso la sua centralità nella storia e nella coscienza dei suoi seguaci. Allora io finisco dicendo: abbiamo bisogno di uomini e donne…; o meglio primo abbiamo bisogno di Cristo e non di cristologie che diventano poi ideologie da picchiare in testa alla gente, abbiamo bisogno di uomini e donne che indossino senza paura il grembiule del servizio e che non si rimettano a sfogliare il catechismo ad indicare ad altri il codice del diritto canonico. Abbiamo bisogno di uomini e donne che sappiano accettare la sfida della libertà, una libertà che nasce però dal servizio, un servizio, come dice bene il narratore del Genesi <che trasforma la terra in quel giardino di vita il cui Dio e l’uomo possano di nuovo camminare insieme>. Abbiamo bisogno di uomini e donne; come voi, come noi che siamo qui oggi che sappiano raccogliere l’eredità di persone straordinarie come Ortensio per dar vita ai sogni che queste grandi persone hanno condiviso con noi. Grazie !!!